Probabilmente è capitato anche a voi di fare la fila in un grande supermercato, in una banca, o all’ufficio postale. Voi siete lì, in coda insieme ad un’altra decina di persone, ma soltanto uno dei quattro sportelli (due dei sei, tre degli otto…) sono aperti e funzionanti. Poi, quando il sommesso mormorio dei clienti sale e diventa protesta, ecco che all’improvviso un altro sportello apre, per poi chiudere nuovamente quando il numero delle persone in attesa a ciascuna cassa pare essere tornato ragionevole.
Ma ragionevole per chi? Solo per il gestore, ovviamente, che modula opportunamente i propri dipendenti in modo da riversare sui clienti, per quanto gli è possibile, il proprio “problema di gestione del personale”. Perché aprire un nuovo sportello e “sprecare” così forza lavoro impiegabile altrimenti, se le persone sono disposte a rimanersene in fila, zitte e buone, davanti ad un unico cassiere? È un’applicazione pratica di un teorema universale, largamente adottato nei rapporti umani in genere, che si potrebbe sintetizzare nella “capacità di trasferire i propri problemi a qualcun altro che si dimostri anche solo inconsapevolmente consenziente”.
I più abili però sanno fare di meglio e sono capaci di realizzare pienamente il paradosso di “trasferire i propri guai a coloro dei quali sarebbero deputati a risolvere i problemi“. Questo corollario trova grande applicazione nel settore dell’informatica e dell’elettronica di consumo, una porzione del mercato in cui l’acquirente – preda di un incontrollabile istinto consumistico – si dimostra particolarmente incline ad accollarsi i problemi di natura imprenditoriale della propria controparte.
Al lancio di ogni “meraviglia tecnologica”, ci sono persone pronte a prenotarsi, a pagare in anticipo, a versare supplementi e ad accettare condizioni capestro (“se vuole questo deve comprarmi anche quest’altro”) per garantirsi l’opportunità di acquistare un oggetto mal distribuito e prodotto – spesso con premeditazione – in un numero di esemplari catastroficamente inferiore alla domanda prevedibile. Le avrete probabilmente viste, in coda, a centinaia, davanti ai negozi, per ore, giorni, nella spasmodica attesa di consegnare il proprio denaro al cassiere di turno. Proprio queste persone aiuteranno i produttori, in maniera più o meno consapevole, ad individuare tutti i malfunzionamenti tipici dei primi esemplari, di solito immessi in fretta e furia sul mercato per rispettare difficili tempistiche o bruciare sul tempo la concorrenza.
Le aziende d’altronde sanno che possono risparmiare onerosi investimenti in rigorosi controlli di qualità, contando sul contributo dei cosiddetti “pionieri”, che faranno a botte per testare i loro prodotti, gratuitamente ed in prima persona, dopo averli acquistati al prezzo più alto possibile. E cosa dire di tutti coloro (…tutti noi) che non esitano ad acquistare software malfunzionanti per vederseli riparare, giorno dopo giorno, “a domicilio”, a suon di patch? Questo particolarissimo “servizio” è stato talmente apprezzato dai consumatori al punto da trasformarsi da “incidente di percorso” di un programmatore sbadato ad una modalità produttiva standard dell’industria informatica: si produce un software fallato, lo si vende e si provvede eventualmente a “ripararlo” in un secondo tempo, dopo aver incassato ed essere rientrati delle spese di produzione. Geniale no?
Anche il paradosso del “cliente che serve il negozio” è un fenomeno che sta diventando sempre più comune. Consiste in un meccanismo in cui il consumatore non solo è “l’ultimo degli ultimi” nella catena commerciale, ma viene addirittura convinto del fatto che è giusto esserlo. Gli viene quindi insegnato che è lui che dovrà inseguire il commesso sfuggente, agitandosi disperatamente per attirare la sua attenzione. Che è lui a dover fare la spola tra la cassa e il commesso, ricevendo e recapitando ricevute e scontrini, perché così vuole la gestione del magazzino dell’altrui negozio. Che è ancora lui che, insieme alla carta di credito, dovrà esibire su richiesta anche svariati documenti di identità, perché altri temono di poter incappare in titoli di credito falsificati. E che sarà sempre lui che, all’uscita del negozio, dovrà accettare che un individuo grande e grosso gli ravani nelle buste di plastica, perché altri temono di essere derubati.
Il paradigma è sempre il medesimo: il venditore trasferisce i suoi problemi sull’acquirente, l’unico che, pagando, avrebbe invece titolo a vedere risolti i propri. In un qualunque sano sistema, il produttore e il venditore di beni non essenziali ballerebbero in tutù, cantando in greco, sulle note di una lambada pur di conquistarsi le preferenze dei propri potenziali clienti. E questi ultimi ritmerebbero la musica col piedino, agitando la bacchetta divertiti.